DEFUNTI DELL'ISTITUTO — IL VEN. CAFASSO — FESTA DI S. GIUSEPPE

19 marzo 1921
P. V. Merlo Pich, quad. 366-369
19 Marzo 1921
Accademia di S. Giuseppe
Vi ringrazio delle cose che mi avete detto: certamente mi sono andate al cuore come sempre... non son solo parole... in tutti vedo che è il cuore che parla.
Credo di poter leggere dentro il vostro cuore e leggerò ancor meglio quan­do mi darete la lettera solita.
Stamattina nella S. Messa, vi ho ricordati tutti e ho domandato tante cose al Signore per la vostra santificazione. Prima di tutto gli ho raccomandato tut­ti i vostri defunti, e poi i vivi. N. Signore aveva già voluto prendere una rap­presentanza di tutti i nostri Missionari: Sacerdoti in Africa e qui, Chierici e Coadiutori. Mancava ancora la rappresentanza degli studenti; e in questi gior­ni egli ha voluto prenderci anche uno Studente, quell'angelico giovane Marchina Pacifico. Era necessario che in Paradiso fossimo tutti rappresentati;
perché lassù in Paradiso si mettono d'accordo tutti i nostri Missionari per pre­gare per noi l'Eterno Padre, il Suo Divin Figliuolo, Maria SS. e S. Giuseppe, e ottengono tante grazie all'Istituto...
Questo giovane aveva tanto affetto all'Istituto. Adesso che era a casa, so­spirava tanto di tornare, quel caro Pacifico, e mi scriveva delle lettere così bel­le! Diceva: «Purché possa tornare, o almeno morire nell'Istituto, io sarei tran­quillo».
N. Signore non ha voluto, ma è morto proprio bene, col sorriso sulle lab­bra, e pregando....
Poi ho raccomandato i vivi.
Prima ho raccomandato i più vicini, tutti quelli che siete qui, e ho doman­dato tante cose per voi. Dopo quelli che sono in Africa, e certamente c'è biso­gno che S. Giuseppe benedica le nostre Missioni; finora le ha sempre benedet­te... le Missioni sono di grande gloria di Dio, e lo confesso, sono la mia più grande consolazione. I sacrifizi che si fanno per il bene delle anime, sono sacrifizi che consolano.
In questi giorni a Roma il Card. Van Rossum, mentre venivamo via, si è messo a ringraziarmi tanto di tutto il bene che facciamo alla Chiesa. Io gli ho risposto: «È un dovere! Bisognerebbe non essere sacerdoti per non sentire lo zelo delle anime!». «Sì, diceva, ma questo è più di quel che potrebbe fare, non sarebbe obbligato a far tanto», e mi ha rinnovato i suoi ringraziamenti. Que­sto è segno che i nostri Superiori ci vogliono bene; godete molta stima, vi ap­prezzano più di quel che meritate. Un altro alto prelato mi diceva che i Missionari della Consolata, sono molto conosciuti a Roma, più di tanti altri Seminari là vicini, e ne hanno una santa invidia. E io gli ho detto: non è il caso di aver invidia, ci son quattro gatti... son piemontesi!...
Specialmente ho pregato e ho raccomandato tanto al Signore i defunti e poi tutti voi, che siete qui e quelli che vorranno venire. Che io ci sia o non ci sia, non è necessario...
Certamente procurerò di fare onorare molto il nostro Venerabile. Egli è un gran santo: ha fatto niente o poco di straordinario, ma ha fatto tutto bene. L'avete lodato bene, e merita di essere lodato. A Roma dicevano: «Fatelo co­noscere, basta la semplice idea di Don Cafasso per far del bene».
In qualunque stato e in ogni tempo fate come lui, anche le cose piccole fa­tele sempre bene. Questo vi serva di sprone... se egli fosse nato adesso certa­mente si sarebbe fatto Missionario, perché un prete zelante non si contenta di queste quisquiglie: ma allora non c'era nessun Istituto. Una volta andando a S. Ignazio, parlava delle Missioni come uno che sente di dentro l'ardore e l'amore delle anime. Noi siamo suoi parenti: non è il sangue che faccia, quello è niente; quel che fa è l'essere attaccati. Naturalmente io come parente più prossimo ho ricevuto una speciale benedizione dal S. Padre e l'ho ricevuta an­che per voi che siete come affigliati a D. Cafasso, siete figli per adozione.
Questa festa di S. Giuseppe non deve mai passare così... ma deve sempre essere fruttuosa: fortificarci nello spirito e nel fervore, servire a tirarci su, se fossimo andati un po' giù.
Del resto i Superiori sono contenti di tutti voi: non ho mai più ricevuto la­menti da nessuno. P. Superiore dice che avete tutti buona volontà, così il Di­rettore degli Studenti. Del resto è segno che fate bene perché il Signore non ci ha ancor lasciati morire di fame: questo è segno che il Signore è contento di voi. Io glielo dico sempre: se non siete contento di noi lasciateci mancare il pa­ne, lasciateci morire di fame. Quindi se fin d'adesso il Signore ci ha sempre mandato tutto il necessario, è segno che fate bene.
Ringraziamo il Signore, siamo contenti! Continuate a pregare per me e per il Sig. Vicerettore.
Un giorno vi racconterò una bella grazia che ci ha fatto S. Giuseppe in Africa. È proprio S. Giuseppe che ce l'ha fatta; ma adesso non ve la posso an­cora raccontare...
Adesso benediciamo i berretti di divisa. Sono proprio la divisa dell'Istitu­to. Dovete riceverlo come cosa sacra, e poi diportarvi in modo degno dell'Isti­tuto, si da non disonorare questa divisa.
giuseppeallamano.consolata.org