
Il 17 febbraio 1926, il giornale torinese Il Momento ebbe a scrivere: «La vita del Canonico Allamano non si computa col calendario, ma nella sua intensità spirituale, nel suo spirito superiore, nella dirittura del suo carattere, nel riflesso di un bene compiuto e stratificato silenziosamente all’ombra del suo prediletto Santuario. Non era l’uomo delle ostentazioni. Non era l’uomo eloquente. Era l’uomo del silenzio operoso».
La ricerca della qualità della vita, lo sforzo di fare bene il bene ed essere così "straordinari nell'ordinario", il "silenzio operoso", l'energia e slancio, sono sempre stati gli aspetti caratterizzanti del suo stile di santità che poi, parlando ai suoi missionari e missionarie, lo qualificava come la "nostra santità". Tale "stile" egli l’ha scoperto avvicinandosi in particolare alla vita e all'insegnamento del santo zio, Giuseppe Cafasso. L’ha voluto fare suo, non soltanto perché congeniale con la sua personalità, ma perché attentamente studiato, ricercato e coltivato. L'ha intriso di virtù cristiane e di forti richiami evangelici fino a renderlo caratterizzante di tutta la sua vita e del suo ministero sacerdotale.
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